Il Golfo di Gaeta

Il Golfo di Gaeta

Le città in cui viviamo hanno origini che si perdono nel mito: Gaeta e Formia, che nascono dalla leggenda degli Argonauti; Minturno, definita fiabesca da Baudelaire, alleata della favolosa Vescia. Tutto il territorio che fa da arco al Golfo di Gaeta è costellato di reperti risalenti ad un passato molto remoto: mura poligonali, ville romane, porti misteriosi, grotte ed eremi fantastici, santuari la cui fondazione si perde negli albori del tempo. Nel corso della storia, le guglie delle chiese e le torri dei castelli hanno arricchito ulteriormente lo scenario, rendendolo da sogno.
Cosa spingeva imperatori e nobili romani a scegliere queste coste come loro luogo di vacanza? Per quale ragione fedeli di culture diversissime convergevano sulle rive del Liris per venerare una divinità universale come Marìca? Cosa rendeva Gaeta alla pari di Amalfi, di Genova, di Pisa, di Venezia? Perché asceti e monaci trovavano proprio su queste colline e su questi monti i luoghi della loro pace?
Molto si potrebbe dire, ma il fatto che l’uomo abbia da tempo immemore apprezzato e amato quest’angolo di mondo, eleggendolo a luogo di svago, di produzione, di vita, mi induce semplicemente a rispondere che tutto ciò è accaduto perché la Bellezza vi ha albergato da sempre.
Un mare-finestra sul mondo, capace di offrire ripari sicuri e di trasformarsi in lago come per magia; monti selvaggi, a protezione dai freddi venti di tramontana (o “di terra”, come diciamo qui); acque purissime che sgorgano dalle loro falde, a convergere in un fiume navigabile, amico della civiltà. Immaginiamo come doveva essere la costa tanto tempo fa: la duna si estendeva per decine e decine di metri, delimitata da verdi pinete e da foreste di quercia da sughero; l’Appia, la Flacca e la via Ercolanea erano strade sicure e veloci, che attraversavano i centri principali rendendoli importanti a livello internazionale, come i loro porti, marini e fluviali. I centri delle città sfavillavano di monumenti e di fervore.
Non è la rievocazione di una fantomatica Età dell’Oro: sulle rive del Liris battaglie cruente venivano combattute, e gran parte della popolazione conduceva una vita difficile e fatta di sacrifici; successivamente, il crollo dell’ala protettiva romana portò malaria e invasioni di pirati. E’ semplicemente una rievocazione delle origini stesse della bellezza del paesaggio e dell’ambiente in cui oggigiorno vivono più di 100.000 persone, ed in cui molte altre vengono a villeggiare, attratte proprio da questa bellezza.
Del resto, per un Comitato che si pone l’altisonante obiettivo di restituire proprio la bellezza che è stata depredata a questo territorio, almeno in piccola parte, penso non si possa partire che da qui: riconoscere le origini di tale splendore, riconoscere che tale splendore persiste, nonostante sia stato spogliato da tantissimi figuri, venuti dopo il corsaro Dragut, fino ai giorni nostri.
Le coste sono state violentate da cemento ed asfalto, ma sono e rimangono belle; le città e i paesi sono stati sfregiati o abbandonati, ma sono e rimangono belli; le campagne sono state usate come discariche e dimenticate, ma sono e rimangono belle; le montagne sono sfigurate da incendi e dimenticanza, ma sono e rimangono belle; i fiumi sono inquinati e negletti, usati come radiatori di mostri nucleari, ma sono e rimangono belli. Nonostante tutto!
Dalla bellezza superstite (che non è poca!) di questo luogo si può e si deve ripartire; dal riconoscere la supremazia di tale bellezza sulle nostre scelte scellerate si deve ricominciare: per riscoprire il Vello d’Oro, per far rivivere l’Idra, la Fenice, il Minotauro, per rivedere i cavalieri longobardi sulle nostre strade o i galeoni romani salpare dai nostri porti. Per renderci conto che la fortuna che ci ha portati a vivere qui deve essere ben ripagata degli errori compiuti nel nostro passato.

 

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